Le vignette di Massimo Bucchi, o meglio i suoi pastiches di immagini, fotografie e didascalie scritte a macchina, compaiono quotidianamente nella pagina dei commenti de La Repubblica nella rubrica “La finestra sul cortile”. Ha vinto due premi Forte dei Marmi per la satira politica, che lui preferisce però definire “satira esistenziale”, e un Premiolino, il più antico premio giornalistico italiano.
La sua cifra stilistica non prevede personaggi fissi, ma si avvale di immagini significative, come quadri o foto deformate. Questo consente una maggiore libertà di utilizzare metafore che non siano obbligate dalla circostanza.
Con il libro illustrato Mappamondo, recentemente pubblicato, offre la summa del suo mondo fatto di lampi caustici, letture oblique, improvvise tenerezze. Un presente e un futuro che rivelano oscure minacce, alle quali ci si può contrapporre solo con l'arguzia dell'ironia.
«Mi definirei sia un umorista sia un autore satirico, anche se prevale il secondo. Con l’umorismo riscattiamo noi stessi, ci identifichiamo nelle sconfitte altrui, la satira prevede invece aggressività, giudizio. L’umorista accetta qualsiasi mondo possibile, la satira lo combatte».
L’umorismo come strategia per una conoscenza delle emozioni che sia anche piacere intellettuale e strategia generativa di cambiamento. Espressione apicale del pensiero umoristico è l’ironia, che (rivolta prima di tutto a sé stessi) induce a guardare la realtà da angolazioni diverse da quelle proposte dal senso comune, mostrandone dimensioni altrimenti inattingibili, con l’effetto di rivelare, o far riconoscere, alle persone le loro emozioni — specialmente se emozioni scomode, disturbanti — in modo tale che siano emozioni pensate e non solo esperite senza comprensione.