Quando viene uccisa una donna per mano di un partner violento molto spesso veniamo a conoscenza del fatto che c’erano stati dei segnali che, se adeguatamente considerati, avrebbero potuto far pensare che il crimine si sarebbe realizzato. Ma anche, in carcere, ci sono soggetti che hanno commesso reati violenti nei confronti delle proprie partner o di donne (omicidi, stupri, maltrattamenti gravi) e che a un certo punto chiedono permessi premio, o hanno scontato la pena e torneranno liberi nella comunità senza avere sostanzialmente cambiato nulla nella loro attitudine violenta.
Cosa può essere fatto per valutare il rischio di violenza futura di un soggetto? Quali strumenti hanno o possono acquisire le istituzioni per evitare che un reato contro una donna, altamente probabile, venga commesso o commesso di nuovo? Come può il carcere divenire un luogo di cambiamento per i violenti, e con quali strumenti? Cosa fare con quei soggetti per i quali un cambiamento è improbabile e che torneranno con grande probabilità a commettere violenza contro le donne una volta scontata la pena?
Il tema del dibattito - tra una dirigente dell’Amministrazione penitenziaria, un giurista, una avvocato, una esperta di comunicazione, e gli psicologi del Gruppo di Lavoro “Violenza nelle relazioni intime” - sarà il problema di come le istituzioni possono proteggere la comunità dai soggetti violenti nei confronti delle donne tenendo conto dei diritti individuali di chi non ha ancora commesso un crimine, e di chi ha scontato la pena. Il dibattito vuole essere un contributo di riflessione affinché nel futuro la violenza contro le donne possa essere ridotta nell’interesse dell’intera comunità.
Il Gruppo di lavoro “Violenza nelle Relazioni Intime” si è costituito con l’intento di promuovere un approccio scientifico al problema della valutazione e dell’intervento su soggetti violenti e su vittime di violenza